I MILLE PERCHÉ - ANIMALI E PIANTE - IL REGNO ANIMALE E VEGETALE

PERCHÉ CI SONO I FOSSILI?

Ogni avanzo ed ogni impronta di organismi animali e vegetali conservati negli strati della crosta terrestre e vissuti in epoche anteriori alla nostra si chiamano «fossili» e, conseguentemente, il processo, in seguito al quale questi resti e queste impronte si sono conservati entro i sedimenti della crosta terrestre, si chiama «fossilizzazione». I fossili costituiscono il materiale di studio della paleontologia, la scienza che ha il compito di indagare intorno alle origini ed allo sviluppo della vita sul nostro pianeta.
Attraverso l'osservazione dei fossili è stato possibile, infatti, ricostruire in modo abbastanza soddisfacente l'oscuro passato della Terra, per quanto riguarda le varie trasformazioni degli esseri viventi. Mediante lo studio dei fossili, inoltre, è possibile dedurre le condizioni ambientali e climatiche di una determinata era geologica, la distribuzione e la migrazione delle faune e delle flore del passato. I fossili, infine, hanno contribuito in modo determinante a confermare la teoria dell'evoluzione, rendendo possibile la ricostruzione dei «phyla», anelli di congiunzione tra specie e specie.
Il rinvenimento di un fossile può avere un notevole significato storico: l'esperienza ha dimostrato, infatti, che taluni gruppi di organismi si trovano solo in certi strati, relativi a determinate età. Questi fossili sono detti «fossili guida» e il loro valore è tanto maggiore quanto più essi sono distribuiti nello spazio, e cioè orizzontalmente, e limitati nel tempo, e cioè verticalmente negli strati del terreno.
Come avviene che un fossile diventi tale? Vi sono diversi tipi di fossilizzazione, di cui i principali sono: la carbonizzazione, la pietrificazione e la incrostazione.
La carbonizzazione consiste in una lenta e progressiva disossidazione della cellulosa dei vegetali, che si arricchiscono invece di carbonio ad opera di microrganismi acquatici: questo è il processo che determina la formazione dei carboni fossili (antracite, lignite etc.) nei quali la struttura microscopica è ottimamente conservata e quindi atta a fornire al paleontologo informazioni interessanti.
La pietrificazione si verifica, invece, grazie al riempimento dei vuoti, che si formano in seguito alla decomposizione delle parti molli dell'organismo, da parte di varie sostanze minerali quali, ad esempio, il calcare, la pirite, la malachite. Queste sostanze vanno a sostituire, possiamo dire molecola per molecola, tutti gli elementi che costituiscono l'organismo in via di fossilizzazione e, se si tratta di un organismo con scheletro esterno, se presenta cioè un guscio o una conchiglia, la sostanza minerale, dopo aver distrutto la parte molle, riproduce il cosiddetto «modello interno» del corpo. Nel caso in cui, poi, l'acqua che contiene le sostanze minerali disciolte sia penetrata nell'interno dei tessuti, il modello è perfetto, riproducendo esso nei minimi particolari la struttura interna dell'organismo.
La incrostazione, infine, consiste nella riproduzione della forma esterna del corpo da parte di sostanze minerali che hanno circondato l'organismo prima della sua decomposizione e della sua totale scomparsa.
Perché si verifichi un processo di fossilizzazione di un organismo è necessario che i suoi resti organici siano rapidamente sepolti sotto terra o, nel caso in cui essi vengano sommersi dalle acque, i sedimenti li ricoprano in un tempo relativamente breve.
Vi sono casi curiosi di fossilizzazione, di cui è interessante parlare. Noto è il caso dell'ambra, una resina fossilizzata che in condizioni di fluidità ha inglobato insetti o foglie, trasmettendoceli nei particolari più minuti.
Un caso clamoroso di fossilizzazione, di cui abbiamo già parlato in precedenza, è quello dei mammuth trovati sepolti con ancora la carne nei ghiacciai della Siberia.
Vi sono, infine, alcuni casi in cui il rivestimento degli organismi da parte del fango è stato così repentino che le parti molli si sono mummificate o hanno lasciato nel fango stesso indurito un'impronta tanto nitida che hanno permesso ai paleontologi di studiare agevolmente tutti i particolari.
Fossile di pesce preistorico

PERCHÉ ALCUNE FORMICHE HANNO LE ALI?

Appartengono all'Ordine degli Imenotteri gli Insetti che sono forniti di ali membranose, come le api, le vespe, i calabroni, le formiche etc.
Quanto alle formiche però, le ali sono riservate solo a certe speciali categorie, le quali, del resto, non le conservano che per poco tempo.
Una colonia di formiche produce periodicamente individui alati, maschi e femmine, destinati a sciamare verso nuove località. Questa migrazione rappresenta, sia per i maschi che per le femmine, il primo e l'ultimo viaggio compiuto con le ali. Ed anzi, per i maschi, rappresenta l'ultimo viaggio in assoluto: infatti, subito dopo aver assolto le loro funzioni riproduttive, essi muoiono. La femmina, invece, affronta adesso la fase più impegnativa della sua esistenza. Dopo il volo nuziale, essa perde le ali e comincia la deposizione delle uova, fondando così una nuova colonia.
Dunque le formiche non si servono delle ali per sovvenire ai loro quotidiani bisogni, ma se ne servono solo eccezionalmente, allorché la natura gliele concede per il tempo strettamente necessario alla fondazione di nuove colonie.
Almeno una volta nella vita, le formiche non sono costrette a formare lunghe processioni dall'incedere lento e serpeggiante, ma possono finalmente spostarsi velocemente, sorvolando i muri anziché scalarli penosamente.
Anche in volo, le formiche si mantengono in stretto contatto: le loro ali sono munite lungo gli orli di minuscoli dentini mediante i quali esse si agganciano tra loro formando gruppi continui e compatti.
I costumi sociali delle formiche sono davvero stupefacenti: questi insetti agiscono sempre collettivamente, formando vastissime associazioni. Quando alcuni individui, anche se abbastanza numerosi, rimangono isolati dal grosso del gruppo sociale, perdono del tutto la capacità di orientarsi e di fronteggiare anche le più semplici evenienze: sono quindi ineluttabilmente destinati a morire.
Anche le migrazioni verso luoghi adatti alla fondazione di nuove colonie, avvengono dunque in massa. Le femmine sciamate e fecondate fondano talvolta da sole la nuova colonia, ma il più delle volte non possono fondarla, se sono lasciate ai loro soli mezzi: hanno bisogno di ricevere l'aiuto delle cosiddette «operaie», le quali possono appartenere sia alla stessa specie delle formiche fecondate, sia ad una specie diversa.
Le operaie sono femmine sterili, prive di ali e talora anche dell'aculeo addominale, di cui la maggior parte delle formiche sono invece dotate. In compenso, le operaie possono difendersi mordendo e spruzzando veleno nella ferita.
Oltre alla categoria delle operaie, vi sono, tra le formiche, individui di altre due categorie.
I soldati sono anch'essi sterili e átteri (privi d'ali), riconoscibili per le maggiori dimensioni e per la grossa testa armata di poderose mandibole.
La terza categoria è quella degli individui addetti alla riproduzione, ossia i maschi e le femmine nettamente definiti, che sono sessualmente maturi quando sono alati.
Non è ancora ben chiaro da cosa dipenda il fatto che non tutte le femmine sono fertili e che anzi abbondano quelle sessualmente neutre, le quali svolgono il ruolo di operaie.
Solo le uova fecondate dai maschi generano femmine, mentre i maschi nascono per partenogenesi, cioè senza che le uova debbano essere fecondate. Le femmine possono successivamente svilupparsi fino a divenire fertili (regine), come possono, invece, restare neutre (operaie). Per spiegare il fenomeno, è stata avanzata l'ipotesi che le regine secernano sostanze capaci di inibire la deposizione di uova da parte delle operaie, condannandole così alla sterilità.
Dopo che la femmina ha compiuto il volo nuziale, ha perduto le ali ed ha deposto le uova, generalmente viene accudita dalle operaie costruttrici del formicaio e vigilata dai soldati.
Il formicaio consiste in una serie di cunicoli e di ricettacoli scavati per lo più nel suolo o nei vecchi tronchi. Nei ricettacoli, o camere, vengono deposte le uova ed ammassate le provviste alimentari.
Certe formiche, come la Formica sanguigna e la Formica amazzone, organizzano di tanto in tanto delle vere spedizioni in massa contro i formicai di altre specie inermi, quali la Serviformica glebaria (il nome dice tutto!) e la Formica fusca: si impadroniscono con la violenza delle ninfe, le trasportano nei loro nidi e le allevano per impiegare poi gli individui adulti come schiavi in tutti i lavori della comunità.

PERCHÉ C'È IL GRANO DURO E IL GRANO TENERO?

Dalle radici embrionali ed avventizie, il fusto con internodi interamente vuoti, l'infiorescenza terminale in forma di spiga, il frutto, infine, costituito da granelli ovoidali contenenti embrioni ricchi di albume farinoso: ecco il grano, la Graminacea del genere Triticum, la cui coltivazione risale ad epoca preistorica e che ancor oggi è considerata nella maggior parte dei Paesi del mondo un alimento fondamentale.
Che cosa contiene un chicco di grano? La sua composizione chimica è la seguente: acqua dall'8 al 19%, amido dal 67 al 72%, protidi 9-18%, cellulosa 2-3%, grassi 2% ca., zuccheri 3%, sostanze minerali (potassio, fosforo, zolfo, magnesio, calcio, sodio, etc.) 2% ca.; l'embrione inoltre ricco di grassi, protidi, fermenti e molte vitamine.
Da tutto ciò si può facilmente dedurre come l'impiego del grano sia stato e sia tuttora molto diffuso e d'importanza fondamentale per l'alimentazione dei popoli.
Quali usi si fanno del grano? Non considerando alcune limitate zone della Toscana, in cui si coltiva grano per trarne paglia da cappelli (seminandolo in primavera molto fitto), in tutte le altre parti del mondo lo si coltiva a scopo alimentare. Macinando la granella si ottiene farina che viene utilizzata per la fabbricazione del pane e delle paste alimentari, e crusca, impiegata nell'alimentazione animale.
Da nessun altro cereale è possibile ottenere un pane come quello che si ottiene dalla farina di grano; per appetibilità e valore alimentare gli si avvicina solo quello di segala.
Perché, dunque, c'è il grano tenero e il grano duro? Semplice. Perché non esiste una sola specie di grano; secondo una delle più recenti classificazioni, il genere Triticum si divide in quindici specie.
Tra queste ve ne sono alcune che dànno grano duro, resistente alla siccità, all'aridità del suolo, al calore del sole, che vengono coltivate nelle regioni calde, hanno granelli allungati e lucidi ricchi di glutine e sono particolarmente adatti per la fabbricazione delle paste alimentari; altre invece dànno grano tenero e sono coltivate, adattandovisi meglio, nelle regioni temperate; hanno granelli opachi a struttura farinosa, ricchi di amido e particolarmente adatti per la fabbricazione del pane. I grani teneri occupano il primo posto nella produzione frumentaria mondiale.

PERCHÉ CI SONO I COLORI?

Tutti siamo sensibili al colore, agli infiniti accoppiamenti, alle straordinarie variazioni che la Natura ci sottopone ogni giorno.
Ogni suo prodotto, possiamo dire, ci nasconde una sorpresa: se guardiamo bene, animali e piante della stessa specie sono raramente identici e si differenziano oltre che nella forma anche nel colore. Il mondo che ci circonda è un mondo colorato, vivo, che continuamente ci sorprende e ci stupisce. Se proviamo ad immaginarlo privato dei colori... Che tristezza! Come ci apparirebbe grigio, sbiadito e senza vita!
La Natura è, dunque, un'immensa tavolozza in cui quantità incredibili di tinte si mescolano in infinite combinazioni che, oltre ad essere motivo di gioia per i nostri occhi, sono spesso un mezzo di difesa e di sopravvivenza.
Tutti gli animali generalmente hanno la pelle del colore dell'ambiente in cui vivono.
L'orso polare è bianco per meglio nascondersi sulla neve e tra i ghiacci.
La tigre è striata per meglio confondersi con la vegetazione.
Il leone è biondo-fulvo come la savana in cui vive. Il camaleonte, il polipo, la cernia e moltissimi altri animali hanno addirittura la capacità di cambiare il colore della pelle a loro piacimento, in presenza di un probabile nemico, adattandola all'ambiente in cui si trovano al momento.

PERCHÉ L'UOMO USA I COLORI?

Queste sostanze coloranti che si trovano non solo negli animali e nelle piante ma anche in terre ricche di minerali, si chiamano pigmenti.
Oltre alle terre rosse ricche di ferro, uno dei più antichi pigmenti usati dall'uomo è l'indaco, erba che cresce in India, in Cina e nell'America del Sud, le cui foglie forniscono una sostanza colorante blu.
Le foglie, messe a macerare ed a fermentare nell'acqua, depositano sul fondo del recipiente una specie di fango che, secco, dà la pasta d'indaco.
Più o meno alla stessa maniera si procede per la estrazione di pigmenti di vario colore da altre piante quali il guado, la robbia, il croco.
Quest'ultimo dà lo zafferano, di un bel colore giallo: ma, pensate! - occorrono circa ottomila fiori per produrre mezzo etto di colore!
Non solo dalle piante è possibile estrarre pigmenti.
Dal corpo di certi insetti e da molte specie di molluschi si possono ottenere vari colori, come, ad esempio, la porpora, il nero di seppia e alcuni blù. Fin dai tempi più antichi l'uomo ha usato questi pigmenti per tatuarsi, per dipingersi il corpo con simboli magici, per mascherarsi e confondersi con l'ambiente durante la caccia, ed infine per dipingere le pareti delle grotte.
Oggi, per la fabbricazione dei colori non si usano più pigmenti naturali poiché costa molto estrarli dalle piante e dagli animali: la scienza li ha sostituiti con composti chimici.
Così, se vorrete diventare dei pittori, non sarete costretti, come facevano gli antichi, a macerare in acqua delle piante o ad essiccare degli insetti: basterà che vi rechiate in un negozio ed acquistiate qualche tubetto di colore industriale. Ne troverete di tutte le marche, per tutte le borse e soprattutto di apparenze molto diverse; preferite subito i colori di aspetto molto brillante, che presentano una pasta priva di quelle porosità denotanti una cattiva distribuzione dell'amalgama che unisce il pigmento o la terra del tubetto che desiderate acquistare.